M A C O N D O
VIAGGIO NELLA MEMORIA
Una partenza al mattino alle 5,30 non aiuta ad essere vivaci e fino a Bologna la vita in pulmann si trascina oziosa. Poi l'annuncio fatidico: l'autista informa che passeremo da Tarvisio e quindi dalla Carinzia, la re-gione amministrata da Haider. Basta questo a movimentarci, a far distendere le bandiere rosse sui vetri posteriori, a preparare con tanti fogli la scritta °Wir fahren nach Mauthausen° (Noi an-diamo a Mauthausen). Da questo punto in poi il viaggio, oltre che dalle abituali canzoni ed esibizioni di cabaret, viene inframezzato dalla distribuzione ai passeggeri di fogli da dedicare in forma anonima a pensieri, domande, osservazioni libere.

MEDITATE CHE QUESTO E' STATO: VI COMANDO QUESTE PAROLE. SCOLPITELE NEL VOSTRO CUORE...

PRIMO LEVI

All'inizio l'incidenza di schede bianche e prese in giro è consi-stente, ma tenderá a calare. Il Sabato siamo al lager di prima mattina. La mole della fortezza impone timore giá dal bus. Il primo impatto è con la spianata dei monumenti commemorativi tra i quali quello italiano si di-stingue per la quantitá di fiori e di lapidi piene di fotografie. Deponiamo la nostra corona nel piú assoluto silenzio e ciascuno sente il bisogno di isolarsi, di vivere personalmente le proprie emozioni. Poi ci raduniamo, vediamo la scala della morte, gli oltre 200 gradini dove migliaia di uomini si sono consunti nella fatica prima della morte, so-vrastata da versi di Brecht dedicati alla tragedia dell`anima tedesca. Seguono due ore di emozioni dure, che ti prendono il cuore e la mente: le baracche, l`angolo del colpo alla nuca, le camere a gas, il documentario con le testimonianze delle vittime, dei car-nefici, della gente comune, dei militari liberatori. Quando un robusto anziano americano arte-fice della liberazione del lager interrompe la sua prima frase con un pianto irrefrenabile, molti di noi si ritrovano le guance intrise di lacrime. E poi via, un pasto veloce e siamo ad Hartaim, un castello dove furono sterminati bambini ed adulti minorati prima di funzionare come supporto alle camere a gas di Mauthausen. Un altro gruppo è in attesa perché il castello, in stato di evidente abbandono e abitato da famiglie ai piani superiori, è sempre chiuso. Con loro vi sono due reduci, una donna con 4 anni di internamento ed un uomo con 5 mesi trascorsi a Mauthausen. Anche a loro viene negata la chiave per entrare a vedere il forno, il ta-volo di sezionamento dei cadaveri, a ripulire le lapidi, ma si fermano a parlare con noi alcuni minuti, circondati dal nostro silenzioso rispetto. Raccontare il resto del viaggio non ha piú senso; ma i biglietti raccolti sul pullman diventano piú lunghi, piú sofferti e complessi. Per l`ultima serie di messaggi viene deciso che vadano riservati allo scherzo. Ma ormai è passato un giorno, la nostra gioia di vivere riprende ad esprimersi anche se dentro di noi qualcosa non potrá piú passare. E l`abbraccio con cui ci lasciamo è piú forte del solito, piú carico di affetto.
RENATO LUCCI
Un anima senza impronte
NICK DRAKE, UNA ANIMA SENZA IMPRONTE 1991, concerto dei Cure per "MTV Unplugged". Robert Smith e band rispolverano alcuni loro vecchi classici in chiave acustica, secondo solita formula del programma. Ad un tratto, tra lo stupore generale del pubblico, il gruppo esegue "Time has told me", una stupenda ballata, delicata e struggente, tratta da "Five leaves left", opera di un misconosciuto folk-singer inglese, tale Nick Drake. Alla fine della loro performance, rispondendo alle domande dei giornalisti, il carismatico front-man sottolinea: "Drake? Il migliore, in assoluto. E' una fra le mie maggiori influenze musicali". L'esecuzione non viene però trasmessa dalle celebre emittente musicale americana. Fa niente. Al gruppo importa aver tributato onore e merito al timido e introverso cantautore di Tanworth-In-Arden. Ma chi è "questo" Nick Drake? 1992. Kurt Cobain, leader dei Nirvana, la band forse più rappresentativa della scena musicale cosiddetta "grunge", è in fase di composizione dei brani che andranno a formare "In Utero", forse il loro disco più espressamente rappresentativo. Un giorno riceve dal suo amico Michael Stipe (R.E.M.) un vecchio album degli anni '70: si tratta di "Pink Moon". Autore: Nick Drake. Un nome che non gli dice praticamente nulla, fino a quando un giorno non prova ad ascoltarlo con una certa attenzione... è una voce sommessa, a tratti quasi rassegnata, accompagnata unicamente da una vecchia chitarra Guild e qualche nota sovraincisa di pianoforte nell'omonima prima traccia. Cobain ne rimane così favorevolmente colpito da sviluppare nel suo imminente album quel lato acustico e intimista del gruppo, già accennato in "Polly" e "Something in the way", nelle storiche "Dumb", "All apologies", "Pennyroyal tea", eseguite tra l'altro nel loro celebre "Unplugged in New York". Nelle sue ultime interviste lo stesso cantante di Aberdeen parlava di un successivo (e mai compiuto) album "totalmente etereo e acustico"... Sono nomi non certo irrilevanti quelli che, in tempi non sospetti, hanno tributato e tributano affetto e dedizione alla musica di Nick: dallo scomparso Ian Curtis dei Joy Division, Elton John, Tom Verlaine dei Television, Paul Weller, fino agli stessi succitati Cure. Perchè tutto questo interesse nei confronti di un cantuatore che in vita è riuscito a vendere in tutto solo qualche decina di migliaia di copie, praticamente nell'indifferenza generale del consumo musicale di massa? (1. continua) NICK DRAKE, UN'ANIMA SENZA IMPRONTE (2) Nick Drake (1948-1974) è una pietra miliare del rock inglese, ed opera proprio nel momento di snodo alla fine degli anni '60 quando la scena musicale orfana dei Beatles cerca altre strade, che saranno poi il progressive, il glam-rock o il british blues. Figlio "anomalo" della controcultura giovanile di quel periodo, la sua parabola artistica si segue benissimo dalle poche tracce rimaste dietro di lui: le speranze in "Five Leaves Left", i tentativi in "Bryter Layter" e la disillusione in "Pink Moon". In tutto ciò rappresenta un unicum nella storia del rock e come tale ha reso i suoi dischi ormai fuori dal tempo e dalle mode. La sua voce senza rabbia, senza durezza, quasi timida, leggera e delicata, si sprigiona dalla melodia cercando di non dare fastidio, infondendo nell'ascoltatore una sincera commozione. Oggi Nick è diventato, a trent'anni di distanza, un punto di riferimento importantissimo per un certo tipo di musica. Già, la musica, forse l'unica dolcezza terrena in 26 anni di vita, l'unica compagna rimastagli dopo che l'amore e il successo gli avevano voltato le spalle. Nick non era proprio una persona triste, ma terribilmente malinconica; ci sono i suoi acquerelli acustici, privi di disperazione e colmi di nostalgia, a ricordarcelo. Tutti capolavori, ma fiaschi commerciali. Un tale personaggio è stato fondamentale per la fusione della musica cantautorale con il folk britannico, diventando un "profeta" dei sentimenti e un evocatore di sogni. La sua vita interiore era messa a nudo davanti al microfono, come la tecnica chitarristica, innovativa e speciale, fatta di ritmiche sghembe, arpeggi meravigliosi, e la vena poetica dolcemente surreale. E quaranta canzoni che hanno fatto la storia della musica. TIME HAS TOLD ME (Il tempo mi ha detto) Il tempo mi ha detto che tu sei una cosa rara a trovarsi una cura tormentata per una mente piena di problemi. E il tempo mi ha detto di non chiedere di più un giorno il nostro oceano troverà la sua spiaggia. Così lascerò le strade che mi stanno facendo essere quello che non voglio veramente essere lascerò le strade che mi stanno facendo amare quello che non voglio veramente amare. Il tempo mi ha detto che sei venuta all'alba un'anima senza impronte una rosa senza spina. Le tue lacrime mi dicono che non c'è davvero modo di far finire i tuoi problemi con le cose che puoi dire. E il tempo ti dirà di starmi vicino di continuare a cercare finchè non ci sarà più niente da nascondere. (da "Five Leaves Left", 1969) DISCOGRAFIA - "Five leaves left" (1969) - "Bryter layter" (1970) - "Pink Moon" (1972) - "Time of no reply" (1986 - lavoro postumo con inediti) BIO-BIBLIOGRAFIA Stefano Pistolini, "Le provenienze dell'amore" (Ed. Fazio, 1998)
FRANCESCO DELUCIA
Garage Olimpo
…"salvarsi è solo spingersi più a fondo nella trappola, anziché uscirne. Solo morirne è uscirne" Strana coincidenza, sto leggendo di un tale che segue la donna che ama in Argentina, negli anni della dittatura militare e qui la perde, ennesima vittima degli assassini al servizio del potere che in sei anni di dittatura hanno cancellato le vite di 30.000 persone, semplicemente sparite nel nulla, desaparecidos: studenti, intellettuali, attivisti politici, tutta gente anche solo sospettata di cospirare contro il regime, torturata e poi gettata viva nell'oceano, mani e piedi legati…sembrerebbero storie destinate ad essere relegate in un passato rimosso di barbarie, senza contare che quello che è successo in Argentina tra il 1976 e il 1982, è solo uno dei tanti massacri di Stato che il mondo civile ha tollerato in tempi recenti, purtroppo non l'ultimo. Il libro è "Tre cavalli" di Erri De Luca, e parla del terrore che si insinua nella vita di chi ha fatto esperienza della tortura e della persecuzione, il film, invece, è "Garage Olimpo" e parla di un'altra storia di violenza, perpetrata nei garage sotterranei di Buenos Aires, col beneplacito delle istituzioni e della polizia ufficiale, da bande di aguzzini professionisti, metodici e zelanti impiegati…La cosa più sconvolgente è la banalità del male, il suo ridursi a procedura formalizzata, la miseria umana di questi carnefici…non ci sono scene di violenza esplicita, solo suggerita, con rispetto per la dignità delle vittime e nessuna pietà per gli assassini…dopo aver visto il film, che è bello da fare bruciare gli occhi per la rabbia e l'indignazione, nessuna concessione alla commozione, si resta gelati, viene da chiedersi PERCHE'…e magari da rimettere insieme tutte le informazioni sparse ricavate dalla letteratura più che da fonti storiche…e possibile che il mondo non si accorga di niente e che migliaia di persone spariscano nel nulla…e tutte quelle storie sui diritti umani , il tribunale internazionale, Pinochet, tanti assassini impuniti, ce ne sarebbero infinite di questioni lasciate all'indifferenza dopo i clamori della cronaca…boh…"su tanta perdita di vite, suonano a giustifica i perché, accampano attenuanti". Il film è di Marco Bechis, e pone il problema della memoria , senza retorica: la memoria storica e le responsabilità individuali e politiche e l'indifferenza collettiva…" siamo tutti complici degli orrori che ci accadono accanto" dice il regista in un'intervista rilasciata a un quotidiano e anche , a proposito della testimonianza di una donna sopravvissuta alla tortura "…di certe cose , parlo solo con le mie piante"…Ricordare, con rispetto del dolore delle vittime…superare, addurre giustificazioni politiche forse non è così scontato, tanto più che ancora non è stata fatta chiarezza su quanto è accaduto.
NUNZIA BECCE
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